Cloud, letteralmente “nuvola”, mi sembra un bel termine che però dice poco se qualcuno non lo riempie di contenuti. Inoltre, cosa che forse all’estero non potranno mai capire, a me, ma credo anche a molti altri italiani, ricorda tanto la famigerata nuvola di Fantozzi, e già questo basterebbe a farmi preoccupare. In realtà tutto è più semplice di come sembra.
Non è più necessario già da ora installare programmi sui nostri pc per accedere a determinati servizi che gli operatori offrono on-line. Siamo ormai abituati a condividere le foto con amici lontani.
I dati che fino a ieri salvavamo sugli hard-disk, ora sono conservati su vari server e possiamo consultarli dovunque e con diversi dispositivi. Le aziende possono permettere ai propri collaboratori di lavorare da remoto.
Probabilmente i pubblicitari hanno trovato un bel nome per un prodotto che vuol dire tutto e niente e su cui lavorare per i prossimi 10 anni, ma questo mi riporta al digitale terrestre che ci hanno venduto come un contenitore pieno di meraviglie su centinaia di canali che invece poi abbiamo scoperto essere pieni di repliche stra-consumate e programmi per neuro-lesi di tutti i generi!
Ma in ogni modo, malgrado tutte le mie perplessità su un mondo che continua a veleggiare per grandi ideali ma si dimentica che ogni 3 secondi muore un bambino, farò finta di non pensarci anche io per proseguire nel ragionamento.

In teoria la “nuvola” è una grande innovazione come lo furono le reti LAN per le aziende. E non dubito che questa sorta di nuova grande rete ci permetterà di fare cose inimmaginabili, ma come al solito i mezzi non servono se non si sa dove andare e per fare cosa.
Di tutti i siti che parlano di “Cloud” quello che più seriamente affronta l’argomento mi è sembrato IBM, secondo cui “grazie al cloud oggi è possibile accedere a un’infinità di risorse: dalla musica alle immagini, attraverso un cloud pubblico, fino a strumenti per la collaborazione come l’e-mail o lo storage di dati, tramite un cloud aziendale privato”.
Molti di voi probabilmente già usano il cloud senza nemmeno saperlo: io stesso condivido applicazioni da un ufficio all’altro, leggo la posta dovunque e collaboro con persone che non ho nemmeno mai incontrato.
Tutto questo è bellissimo se serve a farci vivere meglio, ma è assolutamente inutile se sfruttato per vendere servizi che non servono a nulla se non a distrarci da quello che dovremmo fare veramente.
E allora finisce che ti trovi al ristorante con qualcuno che filma il cameriere per mostrargli l’ultimo app che in automatico rimonta il filmato per farlo ballare al ritmo di una musichetta … mahhhh!!!
Forse sono troppo vecchio o forse ho perso il sense of humor, ma ho l’antiquata idea che dovremmo preoccuparci prima delle cose essenziali.
Secondo uno studio di Microsoft realizzato da Idc dal titolo "L’impatto del Cloud Computing sull’occupazione", gli investimenti in servizi cloud pubblici e privati creeranno circa 14 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo tra il 2011 e il 2015.
In un articolo su Il Sole24ore del 15 marzo 2012 intitolato "Innovazione – L’occupazione sulla nuvola".
Rosanna Santonocito ci dice “Saranno 80mila i nuovi posti di lavoro entro il 2015 creati dal cloud computing in Italia, dove gli addetti al lavoro della "nuvola" sono oggi circa 67.500. Ma in tutto il mondo, grazie gli investimenti in servizi cloud nasceranno ben 14 milioni di posti di lavoro in cinque anni, localizzati in gran parte nelle aree economiche a forte crescita come Cina e India”.
Guardandomi intorno e vedendo imprese falcidiate come mosche da fisco, crisi finanziaria, e delocalizzazione degli investimenti, mi chiedo se non rischiamo di creare un mercato a dei servizi in rete che, essendo per loro stessa natura gestibili dovunque nel mondo, ci ridurranno sempre più a semplici consumatori di prodotti che hanno l’unico scopo di arricchire pochi a scapito della maggioranza di noi.
Sergio Merlo
Integrationmag.it